diritto del lavoro, pubblico non sempre è meglio

Correva l’anno 1993 quando il D.Lgs n. 29 dava il via al processo di privatizzazione del pubblico impiego cioé, al progressivo tentativo di ricondurre il lavoro ad un’unica equivalente disciplina tra il settore pubblico ed il settore privato. Da allora sono trascorsi ventisette anni e tante altre riforme del rapporto di pubblico impiego sono intervenute ad apportare modifiche e correzione, ma tra i due mondi ancora permangono sostanziali differenze e la maggior tutela non in tutti i casi si può dare per scontata a tutto vantaggio del settore pubblico. Alcuni esempi: il lavoro precario. Il Decreto cosiddetto dignità del ministro Di Maio ha ridotto da 36 a 24 mesi le proroghe dei contratti a termine. Mentre però nel settore pubblico il datore di lavoro è obbligato ad assumere e trasformare il contratto di lavoro a TD a tempo ineterminato qualora si avvalga del prestatore d’opera per un periodo superiore, nel settore pubblico l’assunzione è impossibile ed al lavoratore viene riconosciuto semplicemente un indennizzo per cui, anche se ha reso un lodevole servizio, viene licenziato in attesa che un cocorso pubblico certifichi le sue competenze ed abilità delle quali la P.A. si è però già avvalsa per sopperire a necessità ed urgenze; le visite fiscali, un altro esempio di discriminazione a danno del lavoratore del settore pubblico che deve restare chiuso in casa per sette ore giornaliere mentre la reperibilità si riduce a sole quattro ore nel settore privato in caso di malattia. Quasi a voler nutrire un pregiudizio secondo il quale l’indice dinfedeltà del lavoratore nel settore pubblico sarebbe più alto di quello che il lavoratore fa registrare nel settore privato.

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