A cento anni dalla riforma Gentile, il filosofo che istituì l’obbligo scolastico e diede all’Italia un sistema di istruzione selettiva dei saperi con prove di ammissione degli alunni per merito ai licei quali unici corsi di studio propedeutici all’accesso universitario che contribuirono e non poco alla formazione di quella magnifica classe dirigente che seppe innovare e ricostruire il paese nel dopoguerra fino a farne la V potenza economica su scala globale, ci ritroviamo a registrare gli esiti delle controriforme pomposamente inclusive che si sono succedute nel tentativo sciagurato di facilitare i percorsi di formazione delle giovani generazioni al fine di accattivarne il consenso alle sempre più indebolite forze della rappresentanza popolare.
Botte da orbi e non già dal maestro verso i poveri alunni che fino a tutti gli anni ’70 leggevano il loro profitto scolastico centellinato per chiare cifre in una scala di merito da zero a 10 dove anche la metà della unità di voto (1/2), assumeva la giusta importanza e concorreva a formare quando non a migliorare la media del quadrimestre. No, qui nella società aperta ai diritti idiologici la pratica si è invertita ed il demerito si è aggravato e colpevolmente diffuso. Le aggressioni ai maestri ed ai dirigenti scolastici non sono episodiche, ma metodo generalizzato messo in opera da una intera generazione di genitori, figli dei padri putativi del ’68 che intesero portare la lotta di classe nelle aule scolastiche e finirono per bloccare il solo ascensore sociale funzionante: la scuola, al livello più basso. Così confondendo l’eguaglianza e la dignità degli alunni che saranno presto uomini e donne impegnati a dare il contributo del loro talento alla crescita della comunità nazionale ciascuno per le proprie capacità, con la mortificazione delle intelligenze, del merito acquisto con la fatica dell’apprendimento nello studio opportunità offerta a tutti, indistintamente dallo Stato. Volenterosi e svogliati; ricchi e poveri; preparati e somari.
E’ un tema che ciclicamente si ripropone nel dibattito ad ogni episodio che vede la scuola come teatro di cronaca per fatti incresciosi ed è un tema che ci sta molto a cuore, sul quale nel corso degli anni siamo ritornati spesso. Un tema fondamentale non solamente per il nostro sistema istruzione, ma che investe lo sviluppo economico e sociale ed interessa direttamente il destino della nazione intera che forse non a caso da circa trent’anni è attanagliata dalla stagnazione economica e dalla crisi del debito. Pensate, era il 2013, commentavamo su queste stesse pagine quanto scriveva il prof. Adolfo Scotto Di Luzio dell’università di Bergamo, alla allora Ministro Maria Chiara Carrozza: ..”se un insegnante non boccia nessuno, stabilisce un principio: la scuola non è in grado di far emergere i migliori. Tutti valgono alla stessa maniera e cioé nessuno vale veramente. Chi resta in questo tipo di scuola? Evidentemente chi non ha risorse”…
Gli altri, i figli della buona borghesia che aspira a mettersi sul mercato e sostituire i padri alla testa della classe dirigente, andranno ad iscriversi ai collegi esclusivi in Italia ed all’estero con buona pace di quei genitori che pur di non contrariare il loro spesso unico figliolo a cui non hanno tempo da dedicare, preferiscono assecondare le inerzie e le riluttanze che segnano la crescita nel corso dello sviluppo evolutivo fino a farne dei disadattati immaturi; ignoranti con laurea in tasca conseguita barrando caselle a quiz; inadeguati di fronte alle salite della vita reale dopo una adolescenza ed una giovinezza percorsa in discesa libera senza ostacoli.
Che cosa ci rimane da suggerire a questi genitori del terzo millennio, poveracci di spirito che menano le mani sui professori piuttosto che sganassoni ai frustrati figliocci pur di non ammettere un colossale fallimento? Non rovinate i votri ragazzi. Rinsaldate quella sana, naturale alleanza educativa famiglia-docenti. Ponete al centro dei vostri obiettivi il ripristino del profitto scolastico quale discriminante essenziale per garantire ai giovani un sano sviluppo evolutivo ed accompagnarli alla maturità psicofisica nelle migliori condizioni di consapevolezza esistenziale. L’aver insinuata nella scuola italiana l’idea che la socialità e le relazioni altrimenti dette inclusione, siano il fine che una pedagogia moderna deve perseguire in via prioritaria si è rivelata un errore madornale causa prima dello scadimento qualitativo convitamente propugnato da una politica miope che ha scardinato le funi dell’ascensore sociale normando un ordinamento facilitatore dei percorsi di studio che ha insinuata l’affermazione di una subcultura dell’egualitarismo vero e proprio malinteso democratico, per la quale la certificazione di una promozione assicurata su carta timbrata, possa essere la patente del successo in luogo di una robusta preparazione sudata sui libri.