pubblico impiego, progressioni senza laurea legittime come nel privato

E’ un tema che ci sta particolarmente a cuore e che più volte abbiamo trattato: le progressioni verticali, vale a significare gli avanzamenti di carriera per meriti di servizio validato dalle competenze acquisite spesso in auto formazione nella trincea del lavoro quotidiano. Mettiamo ordine e rinfreschiamo innanzitutto la memoria a quanti hanno sollevato un polverone mediatico che pone una discriminante priva di fondamenta tra lavoratori in possesso del titolo di laurea conseguita in molti casi a colpi di clic “on line” e “boomers”, in possesso della maturità che nel corso del lungo regime di blocco del “turn over”, hanno retto le sorti delle Pubbliche Amministrazioni; hanno maturato esperienza ed acquisite competenze specialistiche progressive direttamente allo sportello; si sono repentinamente trasformati in “smart workers” e dato risposte agli utenti; evitato il collasso dei servizi pubblici e garantito la continuità nel corso dei due anni di pandemia da covid-19 inventando nuove prassi dai vecchi processi cartacei letteralmente tradotti in linguaggio macchina che alla prova dei fatti, hanno raggiunti gli obiettivi riuscendo a mantenere l’integrità giuridica delle procedure e l’efficacia del servizio agli utenti. Tanto, in una Pubblica Amministrazione, quella italiana, in gran parte priva di mezzi tecnologici adeguati alla domanda a distanza sempre più incessante dei cittadini, alla quale si è riusciti a dare risposte industriandosi con buona volontà tra mille espedienti; spesso inventandosi ed implementando nuovi strumenti di lavoro pur di mettersi a servizio del pubblico che in molti casi ha visto ridursi i tempi e soddisfatte meglio le aspettative, diversamente disattese per anni dal burosauro del formalismo titolato, in tanti casi vuoto ed inefficace.

Ai sacerdoti del costituzionalismo ad litteram vogliamo ricordare in questa sede, che nel lontano 1993 il D.Lgs n.29/93 (riforma Cassese), “privatizzò” il pubblico impiego nell’ottica, questa sì Costituzionale, di interrompere ogni trattamento diseguale tra i lavoratori del settore privato ed i lavoratori del settore pubblico decretando anche per quest’ultimo, l’imperio del codice civile e dello Statuto dei lavoratori (Gino Giugni), 1970. Ergo, non si comprendono le ragioni per le quali le carriere del pubblico impiego a parità di mansioni e competenze progressivamente maturate per meriti obiettivi, debbano essere penalizzate dal formalismo burocratico a maggior ragione oggi, che sono sotto gli occhi di tutti i guasti del nostro sistema di istruzione lanciato alla rincorsa degli indici statistici in luogo della selezione di profitto scolastico. Leggete a caso un atto ministeriale piuttosto che un atto scritto da funzionari delle autonomie locali ed avrete la cartina di tornasole del grado di preparazione impartita alle giovani leve, dagli improbabili “master” e comprenderete che non reggono il confronto nemmeno con la vecchia licenza ginnasiale.

Ora, premesso che il regime delle progressioni di carriera per meriti di servizio è stato ripristinato in via temporanea con termine fissato al 31 dicembre 2024 in ragione del T.U. del pubblico impiego, articolo 52, comma 1 (D.Lgs n. 165 del 2001), che richiama espressamente i CCNL a definire le tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti professionali, purché determinati requisiti di esperienza e competenza siano stati effettivamente applicati dalle amministrazioni per almeno cinque anni anche in deroga ai titoli di studio ordinariamente richiesti, si comprende in linea di principio, innanzituttto la legittimità delle progressioni verticali senza titolo di studio perché i CCNL hanno semplicemente fotografato una realtà professionale già in opera da molti anni agli sportelli ricompresa nel ridisegno delle nuove aree a superamento della vecchia classificazione per categorie professionali. Analogamente a quanto accade in occasione delle riforme di giustizia il cui cambio di regime porta a corollario l’aministia od anche la spesso annunciata riforma delle finanze alla quale necessariamente seguirà un condono fiscale a chiudere un ciclo ed inaugurarne un nuovo corso con norme e regole differenti, si è ritenuto giustamente di riconoscere a qualche centinaia di migliaia dei 3,2 milioni di impiegati pubblici, l’impegno puntuale e competente profuso negli ultimi decenni di blocco del “turn over” in condizioni precarie di strumenti di lavoro ed in assenza di corrispettivo economico. Impegno ed abnegazione che ribadiamo, ha impedito il collasso della architettura statuale nel corso della pandemia da covid.

Ebbene, a questi che sono già motivi e ragioni validissime in punta di diritto, per un meritato avanzamento di carriera alla stregua di un caporale decorato sul campo per ardimento e promosso sergente, si può aggiungere una ulteriore osservazione e cioè, se abbiamo privatizzato oramai da trent’anni il pubblico impiego e lo abbiamo assoggettato alle norme del lavoro privato, non si comprendono a rigore di logica, gli interrogativi di leggittimità sollevati dagli esperti; dalla opinione pubblica ed in buona misura avallati dallo stesso ministro Zangrillo che pur mena vanto di venire dal settore privato e di voler fare della Paubblica Ammmistrazione un contesto che applica gli stessi strumenti dell’impresa; non si capisce perché s’è concesso ad un garzone di bottega di dimostrare le sue abilità ed essere promosso capofficina, questo stesso merito debba essere negato ad un usciere che si è esercitato in condizioni spesso di emergenza, nel lavoro di un professionista a soddisfazione degli utenti!

Somari. La progressione di carriera per meriti di servizio va restaurata in via definitiva quale leva fondamentale della produttività, della efficacia, della efficienza!!

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