l’idioma nostro negli atti della Repubblica

Ironia, sarcasmo, vere e proprie squalifiche si sono mosse dal mondo della cultura come da quello della politica per un disegno di legge, si badi bene, una proposta di legge che ha appena iniziato il lungo iter parlamentare e che a seguito del vespaio di polemiche strumentali, difficilmente giungerà in aula per essere sottoposta allo scrutinio della discussione. E quale sarebbe l’orrore suscitata da sì scadolosa iniziativa parlamentare? La pretesa di leggere gli atti della Repubblica italiana, scritti in volgare cioè, in quell’idioma lirico nobilitato dal dolce stil novo che intorno al 1300, raccolse e fece sintesi mirabile tra la scuola siciliana e la scuola toscana dando corpo unitario quasi sei secoli prima della nascita dello Stato italiano, all’espressione letteraria linguistica delle genti italiche, vale a significare della nazione Italia.
Si badi bene, una lingua è un corpo plastico, vivo, vivace che non s’impone per via legislativa, ma nasce dalla comunicazione gergale che si diffonde e sedimenta nel corso dei secoli finché la valenza delle sue opere scritte universalmente assunte e riconosciute, ne codificano la morfologia e la sintassi.
Sappiamo bene che i prestiti linguistici sono la fisiologia della opportuna contaminazione tra ceppi e strutture che si richiamano alla comune orgine latina, ma a differenza di altri paesi che sono ricchi di fermenti soltanto in determinati segmenti di storia antica e/o recente, l’Italia ha sempre avuto una storia molto ricca e movimentata che ha prodotto un’intensità culturale enorme, dalle prime civiltà all’impero Romano; dal Medioevo al Rinascimento; dal ‘700 fino all’era moderna. Un immenso arsenale di elementi umanistici coi quali ha influenzato in modo determinante tutta la cultura mondiale come per nessun altro paese. L’italiano è la lingua nella quale sono state formulate le scienze, le arti, la letteratura, l’opera e la musica, il patrimonio più vasto che ha letteralmente scritto la storia del mondo.
Dal dopoguerra ad oggi si è registrata, però una progressiva degenerazione del fenomeno della contaminazione linguistica che va ben oltre le dinamiche degli scambi comunicativi. La sconfitta bellica; la lunga presenza di forze militari prima di occupazione e poi di allenza NATO; il processo di integrazione europeo ed infine il colpo di grazia inferto dall’abbattimento delle frontiere al libero scambio globale dei mercati e delle persone unito ad un impoverimento del sistema scolastico ricondotto a modelli di disconoscimento del profitto, tutto un insieme di fattori esogeni ed endogeni che hanno concorso all’arretramento del nostro idioma finanche dagli atti della Repubblica per assecondare le esigenze di uno Stato in generale declino e marginalizzazione economica, sociologica e culturale. Che il Parlamento chieda di rimettere in buon italiano almeno la pubblicità dell’ordinamento dei suoi apparati funzionali, a nostro avviso, non vi leggiamo nulla di reazionario; nulla per il quale allarmarsi anzi, ci saremmo aspettati un coro unanime di assenso visto che alla prova dei fatti, la risultante di tanta democratica pedagogia, è una scuola che licenzia somari incapaci di formulare compiutamente un periodo e che dell’inglese, pronunciano solamente i titoli dei brani di maggiore successo musicale

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