Il dirittismo, vale a significare l’iperfetazione regolatoria che vuole irrigimentare nel dettaglio ogni aspetto della convivenza civile a mezzo della giurisprudenza autogeneratrice di meriti e virtù, sta assumendo sempre più i contorni di una patologia pervasiva e letale per la società che si dice libera e avanzata. Le aule dei Tribunali non si accontentano di surrogare le aule delle Assemblee elettive, ora sono diventate anche il refugium peccatorum dei somari. Anzi, le stesse famiglie che un tempo misuravano la bontà dei propri sistemi educativi nella connessione formativa con l’istituzione scolastica, oggi si rivolgono ai Tribunali per vedere almeno in una certa misura, sanate le deficienze degli adulti che si riflettono irrimediabilmente nel mancato profitto dei figli. Quanto peggiore è il fallimento alla scrivania, tanto più frequente si va assumendo il ricorso ai giudici ragazzini che si abbassano a sentenziare alla stregua di complici compagnucci di banco, per censurare l’operato dei docenti che vedono il proprio lavoro in aula mortificato nelle aule dei tribunali per la gioia effimera del somaro di turno che a forza di ragliare è riuscito ad averla vinta con l’assenso dello Stato che alla fine dei conti a distanza di qualche anno vedrà i sui investimenti miseramente azzerati ed improduttivi per sufficienza quando non negligenza. C’è un pensiero che da alcuni anni ci rode la mente: questa scuola democratica ed inclusiva che non riconosce i talenti ed ha rinunciato ad orientare le menti immature dei giovani per eccesso di lebertarismo, potrebbe entrarci in qualche misura nelle tragedie dei ponti che crollano? Nelle residenze giovanili che ripiegano su sé stesse come cartoni alle prime scosse di terremoto? Nelle navi che si schiantano sulle rocce del Giglio? Nelle Leggi imprecise quando non incomprensibili che nessun giudice più è capace di interpretare in modo univoco, uguale per tutti? A forza di sentenze e pronunce promozionali, riusciremo alla fine ad ottenere qualcuno in grado di pensare e saper svolgere correttamente il proprio lavoro?